Note di regia
Nelle note di regia di India Song, Marguerite Duras ha scritto che il lavoro «si costruirà a partire dal suono, poi dalla luce».
Così avviene per Duras Mon Amour, dove elementi elusivi e allusivi si combinano e si con-fondono, inquadrando i quadri scenici come tranches de vie degli ultimi mesi di vita della grande scrittrice francese.
Nell’appartamento parigino al n.5 di Rue Saint-Benoit, divenuto negli anni sempre più claustrale, si sviluppa una dialettica notturna frutto di una tortura reciproca, attraverso la lenta discesa agli inferi di due sopravvissuti, in cui il testo dialoga col Cielo mentre la scrittura scenica commercia con l’Inferno.
Al centro del gioco si colloca una figura femminile infelice e vampiresca, adorata da schiere di lettori in tutto il mondo, ma ancora oscillante tra il desiderio di successo e l’indifferenza verso la vita, in equilibrio tra un passato ancora denso di misteri o ambiguità e un presente in cui respinge e insieme ricerca l’attenzione di tutti.
Non pretendiamo che la donna al centro del dramma sia la vera Duras, non esigiamo che venga riconosciuta come la nostra Duras, ma se questo nome famoso include le interpretazioni e i significati che un grande autore ingloba nel suo orizzonte di senso, allora la protagonista in qualche misura è comunque Duras. Eternamente in bilico tra verità e menzogna e quindi perfettamente adeguata al teatro: strumento ineffabile di illusione, menzogna che dice sempre la verità.
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